Roma (Italia). Il 1° maggio 2023, in molti Paesi del mondo, si celebra la Festa del Lavoro. Lo stesso giorno del 1955, in occasione del decimo anniversario di fondazione dell’Associazione Cattolica Lavoratori Italiani (ACLI), Pio XII dichiarò San Giuseppe patrono degli artigiani e degli operai, istituendone la Festa in quel giorno «perché l’umile artigiano di Nazareth non solo impersona presso Dio e la S. Chiesa la dignità del lavoratore del braccio, ma è anche sempre il provvido custode vostro e delle vostre famiglie». (Discorso di Pio PP. XII in occasione della solennità di San Giuseppe Artigiano – 1° maggio 1955).

L’attenzione al mondo del lavoro è stata prioritaria nell’azione educativa di San Giovanni Bosco, Santa Maria Mazzarello e di tutti coloro che si ispirano a loro. “Don Bosco concepisce la scuola in funzione della società e della sua trasformazione, convinto che l’istruzione è fattore di cambiamento sociale, una delle modalità più ordinarie per porre rimedio a ai mali sociali del tempo” (Piera Cavaglià, Educazione e cultura della donna. La scuola “Nostra Signora delle Grazie” di Nizza Monferrato dalle origini alla Riforma Gentile (1878 – 1923), LAS Roma 1990, p. 42).

Nella vita di Maria Mazzarello, il lavoro è il contesto quotidiano in cui vivere la propria personale e originale vocazione: impara con Petronilla a cucire dal sarto del paese con il fine di poter poi aprire un laboratorio in cui accogliere, accompagnare, educare e formare le ragazze. Casa Immacolata fu concepita come ambiente di educazione integrale e di istruzione professionalizzante, come oggi si direbbe.

Anche al Collegio, le prime FMA intesero la scuola come luogo in cui le ragazze sperimentavano se stesse e scoprivano talenti attraverso le lezioni e le attività proposte. Nell’educazione salesiana, istruzione e formazione al lavoro sono inscindibili, dato che esse mirano al “buon cristiano e onesto cittadino”. Certo, in quei tempi, la maggioranza delle ragazze si sarebbe poi occupata della famiglia, ma la preparazione ricevuta le avrebbe rese responsabili e capaci di iniziativa.

All’inizio del secolo XX, con il pareggiamento della Scuola “Nostra Signora delle Grazie” di Nizza Monferrato e la possibilità di formare maestre, l’esperienza educativa delle FMA si aprì a nuove frontiere: le maestre saranno agenti di una silenziosa, ma efficace trasformazione del tessuto sociale.

Madre Caterina Daghero, chiamata a succedere nel governo dell’Istituto alla Confondatrice, acconsentì che le FMA si dedicassero alla conduzione di convitti per operaie impiegate in opifici. Nel 1897 accettò di inviare alcune suore a dirigere il Convitto femminile Operaie di Cannero nella provincia del Verbano Cusio Ossola. Diceva alle suore che si trattava di un’opera “nuova nella forma, non nella sostanza; anzi era opera antica, spiegava sorridendo, perché si rivolgeva proprio a quella parte del popolo, a quella porzione di anime che Don Bosco voleva salvare. Egli aveva raccolti poveri figlioli del popolo e ne aveva fatti onesti artigiani, buoni cristiani; così dovevano fare esse di quelle care figliole che avevano tanto bisogno di istruzione religiosa, di materna vigilanza, d’affetto. Per questo vi mandava Direttrice una Suora [Suor Clelia Guglielminotti] appartenente a famiglia d’industriali, intelligente, cuore grande, e conoscitrice del campo nel quale andava a opera a lavorare” (Giuseppina Mainetti, Madre Caterina Daghero, SEI Torino, p. 232).

Nel 1917 le statistiche dell’Istituto segnalavano 14 opere di questo genere, di cui 7 in Italia e altrettante all’estero. Le educatrici erano presenti sul posto di lavoro “al fine di assistere impiegate ed operaie, far amare il lavoro e compiere con serenità il dovere” (Grazia Loparco, Le Figlie di Maria Ausiliatrice nella società italiana (1900- 1922). Percorsi e problemi di ricerca, Las Roma 2002, p. 638).

Naturalmente, le FMA nell’accettare tali opere, avevano concordato convenzioni che garantissero loro la realizzazione della finalità educativa dell’Istituto. Pertanto, vigilavano sui rapporti delle ragazze con i datori di lavoro e con gli altri operai, sulle condizioni di vita e lavorative, offrivano possibilità formative, compresa la partecipazione e la preparazione ai Sacramenti. In alcuni casi, le suore e le ragazze condividevano l’attività lavorativa. Nella biografia di Madre Caterina Daghero si legge ancora che amava tale opera, ne valorizzava la finalità e incoraggiava le suore ad una presenza assidua e attiva, secondo lo stile del Sistema Preventivo.

Con Madre Daghero si può dire che le FMA non solo educarono al lavoro, ma educarono nel lavoro, impegnandosi a farne un’esperienza significativa e non degradante come spesso era.

Oggi come allora, il lavoro costituisce spesso un diritto negato, motivo di sofferenza, luogo di sfruttamento. Papa Francesco ricorda: “Non si tiene abbastanza conto del fatto che il lavoro è una componente essenziale nella vita umana, e anche nel cammino di santificazione. Lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo. Purtroppo però il lavoro è spesso ostaggio dell’ingiustizia sociale e, più che essere un mezzo di umanizzazione, diventa una periferia esistenziale” (Papa Francesco, Udienza generale, Mercoledì, 12 gennaio 2022).

Solo l’educazione e l’evangelizzazione potranno umanizzare il lavoro, modificandone leggi e condizioni, restituendolo alla sua essenza più profonda: espressione umana dell’azione creativa di Dio. Per questo, le Figlie di Maria Ausiliatrice si uniscono al desiderio che Papa Francesco esprime in un tweet del 1° maggio 2021: “Il lavoro di San Giuseppe ci ricorda che Dio stesso fatto uomo non ha disdegnato di lavorare. Imploriamo San Giuseppe Lavoratore perché possiamo trovare strade che ci impegnino a dire: nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!”.

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