Giovani solidali con ammalati Aids

Roma (Italia). In occasione della 30a Giornata mondiale contro l’Aids, il 1° dicembre 2018, condividiamo le testimonianze di giovani coraggiosi e generosi che vivono accanto alle persone ammalate di AIDS. Come nel passato a Torino, durante l’epidemia di colera, anche oggi, di fronte a malattie come l’Aids, ci sono giovani che sono pronti ad andare incontro alle difficoltà, agli inconvenienti e alle sofferenze per essere un segno di amore per gli altri. 

Torino. Estate 1854
La notizia paurosa giunse a Torino nel luglio. Il colera aveva già investito altre regioni, come la Liguria, mietendo migliaia di vittime. I primi casi in Torino si verificarono alla fine di luglio. Il re e la famiglia reale partirono in carrozze chiuse e si rifugiarono in una valle pre-alpina.
L’epicentro della pestilenza fu Borgo Dora, a pochi passi da Valdocco. Lì, in case povere e in baracche, si ammassavano gli immigrati, la gente malnutrita e senza possibilità di igiene. In un mese i colpiti furono 800, 500 i morti.
Il 5 agosto, festa della Madonna della Neve, don Bosco parlò ai ragazzi. Cominciò con una promessa:
– Se voi vi mettete tutti in grazia di Dio e non commetterete alcun peccato mortale, io vi assicuro che nessuno sarà colpito dal colera.
Poi rivolse un invito:
– Sapete che il sindaco ha lanciato un appello. Occorre gente coraggiosa che si rechi ad assistere i malati, a trasportarli nei lazzaretti, perché il contagio non si diffonda a macchia d’olio… Occorrono infermieri e assistenti per curare i colerosi. Molti di voi sono troppo piccoli. Ma se qualcuno dei più grandi si sente di venire con me negli ospedali e nelle case private, faremo insieme un’opera buona e gradita al Signore.
Quella sera stessa, quattordici si misero in lista. Pochi giorni dopo, altri trenta riuscirono a strappare il permesso di unirsi ai primi, anche se erano molto giovani.
Furono giorni di lavoro duro e per niente piacevole. I ragazzi erano divisi in tre gruppi: i più alti in servizio a tempo pieno nei lazzaretti e nelle case dei colpiti, un secondo gruppo girava per le strade a esplorare se vi fossero nuovi malati, un terzo, i più piccoli, rimanevano all’oratorio, pronti ad intervenire a ogni chiamata.
Don Bosco esigeva ogni precauzione. Ciascuno portava con sé una bottiglietta di aceto, e dopo aver toccato i malati doveva lavarsi le mani.
La maggioranza dei colpiti dal colera era la gente povera, alcuni di loro non avevano neppure biancheria, lenzuola e coperte. I ragazzi venivano a dirlo a mamma Margherita, che dava qualche pezzo di stoffa disponibile. In pochi giorni non ci fu più niente. Un giovane infermiere le venne un giorno a raccontare che un malato si dimenava in un giaciglio misero senza lenzuolo:
– Non avete niente da coprirlo? La donna ci pensò su, poi andò a togliere la tovaglia bianca dall’altare e la diede al ragazzo:
– Portala al tuo malato. Non credo che il Signore si lamenterà. Alla fine dell’emergenza, nessuno dei ragazzi di don Bosco aveva contratto il colera e tutti poterono tornare tranquilli allo studio. La promessa di don Bosco si era avverata.

Africa Sud-orientale, Thailandia, Ucraina 2018

N. è un ragazzo di dodici anni che vive in una delle tante baraccopoli di una megalopoli. La sua mamma è costretta a stare a letto perché gravemente ammalata di AIDS. Ci dice:
– Mamma è molto ammalata in questi giorni… Noi figli cerchiamo di aiutarla al massimo. Impariamo dalla nostra sorella maggiore W. che ha 14 anni. Ogni giorno lei sta tanto tempo con mamma, aiutandola a sentirsi un po’ meglio, lavandola con quel poco di acqua disponibile, imboccandola con il poco che possiamo comprare, parlandole a lungo, in modo che la mamma non si preoccupi troppo per noi quattro figli.
W. stessa dice:
– Sto cercando di fare quello che posso, giorno dopo giorno. Sono molto contenta quando il prete viene a visitarci. L’altro ieri è venuto ed ha celebrato Messa qui per noi, a casa: è stata proprio una bella festa! Mamma era così contenta, anche se tossiva molto. Sto incominciando a capire che posso trovare la forza di continuare ad aver cura della mamma solo nell’amore che Gesù ha per me e per tutti noi. Ho fatto la promessa di non mancare mai alla Messa domenicale… Ho bisogno di incontrare il mio amico Gesù nell’Eucarestia per avere la forza di andare avanti.

In un’altra periferia vive O., un ragazzo di 13 anni: lui e i suoi cinque fratelli e sorelle sono orfani. L’AIDS si è portato via i loro genitori, prima il papà e poi la mamma. Adesso stanno con la nonna, che è anziana e malaticcia.
– Ogni giorno devo alzarmi presto per andare a vendere un po’ di verdura in un mercatino non lontano dalla nostra baracca. A volte mi piacerebbe dormire un po’ di più, ma poi penso che nonna ha bisogno di mangiare del cibo nutriente e che i miei fratellini devono portare a scuola qualcosa da mangiare… e allora mi alzo in fretta e vado! Non so quale potrà essere il futuro mio e dei miei fratelli, ma in un certo senso sono contento, perché mi sento utile alla mia famiglia.

M. ha 11 anni e vive in un’altra grande città di un altro continente. Ci racconta:
– Sono sempre molto stanca alla sera, perché, quando torno a casa da scuola, trovo la casa sporca e in disordine e devo pulirla e riordinarla. Mamma è molto malata e non ha più forza per fare i lavori di casa e i miei fratelli e sorelle sono troppo piccoli, anche se cercano di fare qualcosa per aiutare. Quando finalmente ognuno è a letto alla sera, posso respirare un po’, faccio qualche compito, studio e poi mi inginocchio e prego un’Ave Maria: so che la Vergine è stata con me tutto il giorno e mi ha dato l’energia ed il coraggio di fare tutto ciò che ho fatto. Poi mi rannicchio in un angolo della nostra baracca vicino alla mia sorellina e mi addormento in pace.

Sono loro, i giovani, il segno che la passione, morte e risurrezione del Signore Gesù sono presenti nella vita umana e trasformano in luce le lacrime e le fatiche dei poveri e dei piccoli, così che la vita possa sempre trionfare.

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